Sempre di più sono i laureati senza lavoro o in cerca di prima occupazione in Italia ma, secondo AlmaLaurea, ci sono piccoli segnali di ripresa che fanno sperare in un 2016 più roseo. Ai fini della statistica sono stati intervistati, nel corso degli anni, 490 mila laureati di 65 università italiane, con oltre 240 mila laureati triennali, 180 mila laureati magistrali e più di 57 mila magistrali a ciclo unico.
Nonostante i piccoli passi compiuti, il professore Francesco Ferrante (componente del Comitato scientifico di AlmaLaurea) afferma:”Un lungo periodo di recessione ci consegna un pesante fardello e conferma delle persistenti difficoltà occupazionali di coloro che si sono laureati a cavallo della crisi. Si tratta di una gravosa eredità, che condizionerà le opportunità occupazionali, retributive, di carriera, di questi laureati anche nella fase di ripresa dell’economia e in un orizzonte di medio-lungo termine. Il messaggio quindi, anche in quest’ambito è: prevenire è sempre meglio che curare. La prevenzione richiede politiche macroeconomiche più attive, coordinate su scala europea, un maggiore impegno sul fronte delle politiche industriali e l’adozione di misure volte a valorizzare la conoscenza e a favorire l’incontro tra domanda e offerta di capitale umano”.
Nonostante i miglioramenti, le difficoltà nel trovare lavoro nel nostro paese persistono e si sente la necessità di specializzarsi sempre più in ambito universitario.
I giovani laureati hanno più possibilità di trovare lavoro rispetto ai soli diplomati per il semplice fatto che le aziende richiedono figure professionali di alto livello.
Mentre i paesi dell’UE vedono una netta ripresa nel mondo del lavoro, in Italia la disoccupazione raggiunge il 12,7% e i giovani sono quelli che ne risentono di più. Ciò è evidente se consideriamo anche l’andamento del tasso di disoccupazione a lungo termine, passato da 2,8 punti percentuali a 7,7 dal 2007 al 2014.
E’ pari inoltre al 26,2% il tasso di disoccupazione di ragazzi con età compresa tra i 15 e i 29 anni ( i cosiddetti NEET), un valore altissimo considerata la media di europea pari al 15,8%.
Questi dati fanno pensare infatti alle scarse opportunità e politiche di inserimento per i giovani italiani.
Da una recente ricerca è emerso che l’Italia si trova all’ultimo posto per quota di laureati, collocandosi al di sotto della maggior parte degli altri Paesi OCSE. Questi Paesi, pur risentendo della crisi, sono riusciti a risollevarsi grazie alle politiche d’investimento effettuate. In Italia su 100 giovani (con età compresa tra i 25 e i 34 anni), solo 22 sono laureati, contro una media europea del 37% e una media OCSE del 39%.
Dati preoccupanti emergono se consideriamo che la classe manageriale e dirigente italiana non possiede la laurea ma al più il diploma di scuola superiore. Al 2013 i manager laureati in Italia rappresentavano solo il 25% contro la media UE del 54%. Essendo l’Italia caratterizzata il più delle volte da imprese a gestione familiare, ciò ha comportato minori performance innovative e un basso livello di internazionalizzazione delle imprese.
La quota di imprese a gestione familiare è altissima in Italia, pari al 66%, contro Spagna 36% e 28% Germania.
Ad un anno dal titolo, quelli che riescono ad inserirsi nel mondo del lavoro sono maggiormente i laureati magistrali con un tasso di occupazione pari al 70%, seguono i laureati triennali con il 66% e per ultimi i laureati magistrali a ciclo unico (giovani laureati in farmacia, medicina, architettura, giurisprudenza) con solo il 49%.
I laureati di primo livello presentano una quota di disoccupati pari al 26%, quelli magistrali pari al 22%, per i laureati magistrali a ciclo unico, il tasso di disoccupazione raggiunge invece il 30% , ciò è dovuto all’aumento di laureati in giurisprudenza e architettura che rappresentano la quota di disoccupati più alta in Italia.
Le quote si invertono se parliamo di stabilità del lavoro. Lavoro autonomo e contratti a tempo indeterminato sono in calo per i laureati triennali e magistrali, mentre in aumento del 2% rispetto all’ultima indagine per i laureati magistrali a ciclo unico.
Quest’anno si è registrata una diminuzione dei lavori non regolamentati da contratto, che coinvolgono il 10% dei laureati a ciclo unico ( con un calo di 3 punti rispetto all’ultima rilevazione); il 7% tra i magistrali biennali (-1,5) e il 7,5% tra i triennali ( -1).
Gli stipendi mensili risultano invece in lieve aumento e si aggirano intorno ai 1.000 euro mensili: 1.013 per i laureati triennali, 1.065 per i magistrali, 1.024 per i magistrali a ciclo unico con un incremento rispetto alle precedenti rilevazioni.
Svolgere uno stage in una azienda o studiare all’estero rappresenta un valore aggiunto in più rispetto a chi consegue la sola laurea e intende trovare lavoro.
La qualità delle esperienze maturate, la conoscenza di un’altra lingua rappresentano i fattori che permettono ai giovani di inserirsi facilmente nel mondo del lavoro poiché le aziende sono maggiormente interessate a figure professionali di questi tipo. Dal Rapporto di AlmaLaurea emerge che, “ad un anno dalla conclusione degli studi e a parità di ogni altra condizione, i laureati (di primo livello e magistrali) che hanno effettuato stage curriculari hanno il 10% di probabilità in più di lavorare rispetto a chi non vanta tale esperienza formativa.
Allo stesso modo anche l’aver intrapreso esperienze di studio all’estero durante gli studi accresce le possibilità occupazionali, sia perché consentono un incremento delle competenze linguistiche, sempre più richieste dal mercato del lavoro, sia perché facilitano l’accrescimento esperienziale e personale”.
A cinque anni dal titolo , l’occupazione, è vicina al 90%, anche se risulta in calo rispetto alla precedente rilevazione: per i laureati triennali e per i laureati magistrali è pari all’86%, per i magistrali a ciclo unico è l’87%.
Lauree che pagano meglio
Nel lungo periodo si prevede una stabilità del lavoro (contratti a tempo indeterminato o lavoro autonomo): a cinque anni oltre il 73% dei laureati triennali ha un lavoro stabile, quasi il 78% i magistrali a ciclo unico e il 70% i magistrali biennali. Il guadagno, invece, tra uno e cinque anni, registra in generale un miglioramento e infatti, le retribuzioni salgono a 1.300 euro mensili.
Nel lungo periodo l’occupazione cresce in tutti gli ambiti, primi sono i laureati delle professioni sanitarie (97%) e di ingegneria (95%); seguono i gruppi chimico-farmaceutico e economico-statistico (90%). Al di sotto della media si posizionano i laureati dei gruppi insegnamento (80%), geo-biologico (79%), giuridico (77%) e letterario (75%).
Un miglioramento si registra anche nei guadagni, in testa si posizionano, i laureati in ingegneria (1.693 euro in media) e delle professioni sanitarie (1.593 euro in media), gli economisti, e chimico-farmaceutici (oltre 1.450 euro). Mentre per i laureati in psicologia, scienze motorie e materie letterarie, i guadagni non raggiungono i 1.100 euro mensili. Anche le retribuzioni dei laureati dei percorsi linguistico, giuridico e architettura, non raggiungono i 1.200 euro.
Divari occupazionali
I divari occupazionali non riguardano solo le professioni ma anche il sesso e la residenza.
Le donne e i laureati residenti al sud rappresentano la fascia di disoccupati più alta in Italia. Da alcuni studi emerge infatti che a cinque anni dal conseguimento del titolo, le differenze di genere sono notevoli:
lavorano il 78% delle donne e l’85% degli uomini, questi dati non dipendono dal percorso di studi intrapreso. Anche per quanto riguarda la retribuzione, si hanno differenze significative: 1.597 euro per gli uomini, contro 1.316 euro delle donne.
Studente
Articolo molto interessante, complimenti