La crescita economica è la priorità di ogni governo europeo, e non potrà purtroppo arrivare abbastanza presto. Cosa possono fare le università per aiutare la ripresa dei Paesi europei dalla crisi?
Le Università europee di ricerca stanno già dando un enorme contributo in tal senso: educando la forza lavoro futura, svolgendo attività di ricerca e facendo scoperte e invenzioni che – formalizzate in questi ultimi anni come ‘trasferimento tecnologico’ – sono inserite direttamente nel mondo del lavoro nel settore privato per generare un ritorno economico.
Un esempio: nel 1960, alcuni laureati di Cambridge hanno costituito una società denominata Cambridge Consultants, iniziando lo sviluppo di un gruppo di imprese di alta tecnologia che ruotavano intorno all’università. Questo è stato poi descritto come il ‘Fenomeno Cambridge’: il processo attraverso il quale gli scienziati imprenditoriali creano aziende che traggono vantaggio dalla vicinanza di una grande università.
Intorno alla città di Cambridge ci sono ora più di 1.400 aziende high-tech e biotech, dalle piccole aziende a quelle multinazionali come la Microsoft. Undici aziende che hanno iniziato nel gruppo di Cambridge hanno acquisito ora sul mercato un valore di oltre 1,3 miliardi di dollari. Il contributo delle università all’economia è così efficace proprio perché in effetti non è l’obiettivo primario. La produttività economica è un sottoprodotto della didattica e della ricerca, ai fini della ricerca e del sapere stessi. Probabilmente, se fosse trasformato in obiettivo primario – se le università cioè diventassero un ramo della ricerca della grande industria – allora il contributo fondamentale degli istituti universitari andrebbe perduto. Il ‘Fenomeno Cambridge’ non era pianificato e per molti versi inaspettato: è difficile immaginare come sarebbe stato se l’università avesse deliberatamente deciso di creare un’operazione economica ad hoc.
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Le scoperte che forniscono il contributo economico maggiore tendono infatti a derivare dalla ricerca fondamentale, la ricerca per la ricerca, la ricerca nei concetti, non quella applicata.
George Porter – un ex presidente della Royal Society, nell’Accademia delle Scienze del Regno Unito – è andato oltre, insistendo sul fatto che la ricerca fondamentale e ricerca applicata sono in fondo la stessa cosa: “Ci sono due tipi di ricerca: applicata, e non ancora applicata” afferma.
L’Europa ha la fortuna di avere istituti di ricerca ad altissimo livello, che possono riuscire a rispondere a queste sfide. Molti di questi sono membri della Lega delle università di ricerca europee, LERU, che chiede, in occasione della conferenza per il 10 ° anniversario, come sarà la ricerca universitaria del futuro. È una questione attuale, dal momento che l’Unione europea sta completando la progettazione del suo prossimo quadro di finanziamento della ricerca, Horizon 2020 – un programma che finanzierà alla ricerca e all’innovazione in Europa oltre 80 miliardi di euro nell’arco di sette anni. Queste somme possono riuscire a plasmare le modalità di sviluppo delle università europee. La soluzione migliore sembrerebbe quella di cercare di non separare la ricerca applicata da quella non-ancora-applicata: è importante infatti che le università siano il luogo di ricerca per eccellenza, della ricerca tout court, anche perché le università possono integrare le conoscenze da molte fonti diverse e molte discipline diverse. Le università possono identificare interessanti possibilità di sviluppo e crescita e combinarli per produrre soluzioni pratiche. Per la libertà, l’autonomia e l’ampiezza di suoi orizzonti di studio, l’università è la sede migliore per realizzare studi di ricerca. Anche le invenzioni fisiche o biotecnologiche, grazie all’apporto delle discipline umanistiche – sociologia, economia, giurisprudenza – possono portare a trasformare questo potenziale in un beneficio socio-economico, coniugando il finanziamento della ricerca ai problemi sociali.Nel progetto di Horizon 2020 l’UE dovrebbe riconoscere che la ricerca universitaria, sia applicata e ‘non ancora applicata’, produce sviluppo sostenibile e crescita a lungo termine, di cui l’Europa ha disperatamente bisogno. Perseguendo la ricerca in tutte le discipline, dalla forma più diretta di innovazione applicata alla ricerca fondamentale sul senso del mondo, le università europee sono la chiave per la crescita delle nostre economie – e delle nostre società.
Fonte: www.universityworldnews.com
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