Da anni ormai si parla di abolire il valore legale della laurea, ma ad oggi non vi è stato nulla di concreto. L’idea nacque soprattutto per poter accertare le reali competenze di chi sostiene un concorso pubblico o un esame per l’iscrizione agli albi e ordini professionali. Questa rivoluzione è stata chiesta da più parti. Ma è anche vero che esistono autorevoli voci contrarie al cambiamento! Ne deriva un quadro complesso che sarebbe interessante approfondire. Ed è proprio quello che faremo nel post di oggi.
Innanzitutto, vediamo cosa potrebbe comportare tale innovazione. Il nuovo sistema sarebbe in pratica ispirato alla legge economica della domanda e dell’offerta: ciò significa che la laurea con più valore sarà quella che il mercato del lavoro giudicherà di maggiore qualità. Gli studenti sarebbero quindi spinti a scegliere gli atenei più prestigiosi e non quelli più “facili” o più vicini a casa! Ciò porterebbe ad una conseguenza ben specifica: le strutture universitarie, non più tutelate dalla rigida uniformità dei programmi e dal valore legale delle lauree che le rende dei veri e propri “dispensatrici” di titoli, sarebbero costrette ad offrire una didattica aggiornata, spendibile e professionalizzante. Pena la chiusura! Lo svantaggio maggiore, però, sarebbe a livello sociale: senza valore legale infatti, i ceti meno abbienti sarebbero costretti a pagare prezzi altissimi per l’istruzione dei figli perché non si potrebbero certo permettersi di scegliere le università più care né integrare con altri studi e titoli privati la laurea conseguita nell’università….a buon mercato! Tuttavia, la risposta a questa problematica sta (o dovrebbe stare!) nella nostra Costituzione, in cui è scritto a chiare lettere di aiutare i capaci e meritevoli “anche se privi di mezzi”. Quindi credo che la riforma, se ci sarà, prevederà una soluzione a questo ovvio problema. Ma a mio parere, il sistema universitario italiano dovrebbe prendere esempio dal quello statunitense. La prestigiosa università di Stanford ha costi elevatissimi, ma garantisce anche una qualità degli studi elevatissima: però, gli studenti con reddito familiare inferiore a $ 100.000 non devono pagare tasse di iscrizione! Inoltre, se provengono da famiglie con reddito inferiore a $ 60.000 avranno a disposizione a titolo gratuito sia il vitto che l’alloggio. Negli Stati Uniti e in Inghilterra esiste anche il “prestito d’onore” basato sul reddito futuro: in pratica, se lo studente non dispone dei mezzi sufficienti per pagarsi gli studi, lo Stato provvederà a rilasciargli un prestito che copre l’intera retta universitaria. Quando avrà terminato gli studi e avrà trovato un lavoro (sicuro per i laureati di università prestigiose!), restituirà a poco a poco la somma avuta in prestito, che dovrà essere adeguata alle effettive potenzialità dei suoi guadagni.
Il sistema universitario dei paesi anglosassoni (ma anche quello di molti altri paesi) punta ad un’uguaglianza effettiva nel percorso di studi superiori. In Italia, invece, l’uguaglianza è solo sulla carta! Anche se secondo la legge le lauree sono tutte uguali, l’uguaglianza viene meno quando il titolo viene messo poi alla prova del mercato quando il laureato scopre che avrebbe fatto meglio a scegliere un’altra università e un’altro corso di laurea! In più, ci si accorge che altri titoli non ufficiali come i vari master (spesso privati), gli studi all’estero o le esperienze sul campo hanno un peso enorme nella preferenza delle aziende. Il valore legale, invece, resta un requisito indispensabile e senza distinzioni per i concorsi pubblici: in questo caso, non conteranno né la sede o gli esami sostenuti. Al limite, il tipo di laurea e il voto finale. Ma il blocco dei concorsi ha reso tale beneficio quasi ininfluente sulla vita professionale dei laureati; anzi, si può dire che il valore legale dei titoli era pensato proprio nello spirito di un’epoca in cui la pubblica amministrazione era ritenuta, in modo ben poco lungimirante, come una “fabbrica” del posto fisso italiano! Se in Italia verrà abolito il valore legale della laurea, avremmo una prima rivoluzione nelle Università: le migliori andrebbero avanti, mentre le altre chiuderebbero. Inoltre, i docenti sarebbero scelti per capacità e competenze e non perché hanno puntellato in modo attento gli scatti d’anzianità nella pubblica amministrazione per diventare piano piano (o veloce veloce!) dei dipendenti a vita! Ma sarebbero gli studenti a ricevere i benefici maggiori da questa innovazione: avrebbero infatti docenti che lavorerebbero notte e giorno a favore dell’Università, anche sul piano della ricerca dei finanziamenti e sulla proprietà dei brevetti.
In un sistema aperto dell’offerta universitaria, ogni ateneo conterebbe per ciò che davvero vale, cioè per le garanzie di qualità degli studi che davvero può garantire ai più meritevoli; garanzie necessarie soprattutto a coloro per i quali studiare rappresenta un sacrificio ed un investimento per il futuro. Si sente spesso parlare di competitività, di merito, di innovazione. Fino ad ora, sono state solo belle parole! Ma per il futuro delle nuove generazioni, sarebbe opportuno che chi di dovere passi dalle parole ai fatti.
luigi
articolo interessante