L’università italiana versa in una crisi senza precedenti! Secondo i dati del CUN (Consiglio Universitario Nazionale), negli ultimi 10 anni, le immatricolazioni nelle università italiane sono scese da 338.482 a poco più di 280.000 unità! E’ come se, in questo lasso di tempo, fosse scomparso un ateneo di grandi dimensioni come la Statale di Milano!! Ma questo non è certamente l’unico dato allarmante: in calo vi è anche il numero di laureati, dottorati, docenti e, come ben sappiamo, dei fondi destinati agli atenei! Ma non mancano le eccezioni: l’università di Bologna, infatti, ha registrato un aumento delle immatricolazione dell’1% negli ultimi 3 anni, del 6% negli ultimi cinque e, incredibilmente, anche dei finanziamenti destinati al diritto allo studio. Ma questa è solo una piccola “consolazione”! La crisi delle immatricolazioni riguarda la maggior parte degli atenei e la verità è che, alla fine della scuola dell’obbligo, al diciannovenne la laurea interessa sempre meno!! Le iscrizioni alle università statali sono calate del 4% in tre anni, passando dal 51% nel 2007-2008 al 47% nel 2010-2011.
Non va meglio sul fronte dei laureati: l’Italia è nettamente al di sotto della media Ocse (34° posto su 36 Paesi!) e soltanto il 19% dei 30-34enni possiede una laurea, contro una media europea del 30%! Inoltre, il 33,6 % degli iscritti ai corsi di laurea è fuori corso e il 17,3% non fa esami. Al calo del numero di laureati contribuisce anche la diminuzione, negli ultimi 3 anni, delle risorse per finanziare le borse di studio: nel 2009 i fondi nazionali coprivano ben l’84% degli studenti aventi diritto, mentre nel 2011 la percentuale è scesa al 75%. Anche per i docenti le cose non vanno bene: negli ultimi sei anni, il numero dei professori universitari è calato del 22%. Come se non bastasse, nei prossimi 3 anni si prevede un ulteriore calo dei docenti di ruolo! Contro una media Ocse di 15,5 studenti per docente, in Italia la media è di 18,7 (dato che include sia i docenti strutturati che quelli a contratto). E vogliamo parlare dei finanziamenti alle università: dal 2001 al 2009 il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), che viene calcolato in termini reali in base all’inflazione nazionale, è rimasto quasi stabile….per poi scendere del 5% ogni anno, con un calo complessivo che per il 2013 si annuncia molto vicino al 20%! Su queste basi e in assenza di un qualsiasi piano pluriennale di finanziamento moltissime università, a rischio di dissesto, non possono programmare la didattica né le capacità di ricerca.Un altro dato su cui riflettere è che, negli ultimi sei anni, sono stati cancellati ben 1.195 corsi di laurea! Solo quest’anno sono scomparsi 84 corsi triennali e 28 corsi specialistici/magistrali. E se all’inizio questa riduzione era dovuta principalmente ad azioni di razionalizzazione, ora dipende invece dipende dalla pesante riduzione del personale docente. Poi, rispetto alla media Ue, in Italia ci sono 6.000 dottorandi in meno che si iscrivono ai corsi di dottorato. L’entrata in vigore della riforma del dottorato di ricerca prevista dalla riforma Gelmini è ancora “al palo” e il 50% dei laureati segue i corsi di dottorato senza una borsa di studio! Inoltre, le attrezzature dei laboratori sono a forte rischio obsolescenza, a causa della decurtazione dei fondi: anche i finanziamenti Prin, cioè i fondi destinati alla ricerca libera di base per le università e il Cnr, subiscono tagli continui: si è passati da una media di 50 milioni all’anno ai 13 milioni per il 2012. Infatti, dai 100 milioni assegnati nel 2008-2009 a progetti biennali, si è passati a 170 milioni per il biennio 2010-2011…..ma solo per progetti triennali, fino a giungere a meno di 40 milioni nel 2012 e sempre per progetti triennali.
La situazione è allarmante, ed è stata sicuramente accentuata dalla sfiducia che i giovani hanno sulle prospettive lavorative che offre il “pezzo di carta”! La verità è che, in Italia, la laurea non paga! I nostri laureati lavorano meno di chi ha un diploma e molto meno dei laureati degli altri Paesi europei, come ha affermato recentemente il direttore del Censis, Giuseppe Roma. Spetterà al prossimo governo risolvere questa “patata bollente” e promuovere una riforma concreta per rilanciare l’università e il mondo del lavoro.
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