Il mito tanto decantato dell’accoppiata stage-lavoro sembrerebbe essere un flop! Almeno nel nostro paese. Infatti, in Italia anche con uno o più tirocini presenti nel curriculum, la probabilità di assunzione successiva è appena del 6%. Tradotto, significa che si hanno meno opportunità d’impiego rispetto ad altri paesi UE, come Spagna (14%) e Francia (36%). Questi dati non certo esaltanti degli stage Italia sono il risultato di una ricerca condotta dalla famosa società di consulenza McKinsey che, con il rapporto denominato “Education to Employment 2013” (redatto in base a più di 8000 interviste tra giovani, istituzioni e datori di lavoro di paesi Ue) ribadisce lo stallo italiano nell’inserimento professionale degli under 30. Con la conclusione che “le internship, in Italia, non forniscono ai candidati le abilità (e il lavoro) richiesti“.
I motivi di questo fallimento “made in Italy” sono da ricercare, secondo il ministro Maria Chiara Carrozza, nelle poche esperienze di lavoro dei giovani italiani, i pochi stage effettuati e il gap tra cumulo teorico e competenze pratiche, che fa perdere terreno alla formazione professionale nel nostro paese. Secondo il rapporto McKinsey, infatti, il 47% dei datori di lavoro sostiene di “non trovare profili adeguati” tra i candidati! Nel resto d’Europa i dati migliorano, ma non di molto: la media Ue non va oltre il 33%, con il 31% della Svezia, il 26% della Germania e addirittura il 18% del Regno Unito. Tuttavia, in Italia il problema può essere ricondotto alla scarsa trasparenza nei criteri di selezione (quasi sempre integrati nelle ormai note citazioni generiche “buona attitudine al lavoro in team” o “esperienze su campo“) e retribuzioni sotto la media. Senza contare il gap di percezione tra il 72% di istituti e università che ritengono “preparati” e “idonei” al mondo del lavoro i propri diplomati-laureati…….e il 58% dei datori di lavoro che sostiene il contrario! Quindi, la triste realtà è che tra contratti a costo zero e convenzioni tra aziende/università mantenuti con regolarità solo dal 41% delle società, meno di un giovane su due (il 46%) riesce a trasformare un tirocinio in lavoro! Poco, se si pensa che nel resto della Ue la media è del 61%. Fra i nostri “vicini” quasi tutti fanno meglio di noi italiani: lo stage fa crescere infatti le chance professionali del 14% in Spagna, del 15% in Grecia, del 21% in Portogallo e addirittura del 35% in Francia. Quindi, un neolaureato che sta svolgendo un tirocinio in un’azienda di Roma o Milano ha 1/6 delle possibilità di firmare un contratto rispetto ai suoi colleghi (e coetanei) di Parigi. In Europa, siamo solo superiori alla Gran Bretagna, che ha un rapporto stage/probabilità di assunzioni pari al 3%. E la grande Germania non si spinge oltre al 6%, cioè la stessa percentuale calcolata tra i tirocinanti di aziende italiane od operative in Italia. Tuttavia, nei prestigiosi college britannici le opportunità di lavoro sono segnalate con alert personalizzati sui siti delle facoltà. E nei 16 land tedeschi, il surplus modesto garantito dal solo tirocinio si bilancia a un rapporto di fiducia tra valore della laurea e opportunità professionali: più di un laureato su due (il 53%) vede nel suo corso di studi un valore aggiunto in funzione lavorativa.
fonte: Il Sole 24Ore
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