Una decimazione o un test di ammissione?

Sono ormai divenute prassi le polemiche che ogni anno seguono ai test di ammissione per le facoltà a numero chiuso: anche quest’anno, la maggior parte dei neo diplomati ha ritenuto le domande eccessivamente difficili e spesso non strettamente pertinenti alle materie e agli argomenti (prettamente scientifici) che gli studenti saranno portati ad affrontare nel corso degli anni di studio universitari; si tratta di test nozionistici, che non valutano le reali capacità di ragionamento.
Nei giorni scorsi alcuni giornali e telegiornali nazionali si sono dedicati alla questione, intervistando noti e affermati medici italiani, sottoponendo loro le stesse domande presenti nei test che gli aspiranti medici hanno dovuto compilare. Risultato: gli stessi medici hanno ammesso l’inappropriatezza e l’eccessiva complessità di alcuni quesiti, non proprio alla portata di gran parte dei candidati.
Una prova così costituita è quindi davvero il meccanismo più appropriato ed efficace per scegliere tra decine di migliaia di candidati? Il timore è quello che attraverso il test non riescano realmente a emergere le potenzialità e le capacità degli studenti.
In seguito poi alle irregolarità testimoniate e accertate negli anni scorsi, aumentano di volta in volta i timori e perplessità, mentre crescono le proposte e i suggerimenti per tentare di rivedere e migliorare l’impianto e i quesiti dei test: un colloquio orale dopo una prima prova scritta più accessibile, una maggiore considerazione del voto di maturità, una pre-selezione in primavera, prove scritte e orali più mirate, colloqui su determinati argomenti (sistema adottato dalla Normale di Pisa).
Lo stesso Ministro Mariastella Gelmini si è dichiarata aperta e favorevole ad un confronto con il mondo universitario e studentesco per modificare e rivedere l’intero meccanismo di selezione, dalla formulazione delle domande all’erogazione dei questionari.

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