Come molti sanno le Università sono il luogo dove maggiormente si svolgono progetti di ricerca, che possono portare alla creazione di innovazioni, scoperte importanti e cambiamenti in vari settori.
In pochi, però, sanno che spesso proprio nelle Università prendono forma e vita quelli che in futuro potrebbero essere prodotti venduti sul mercato o prototipi che diventeranno realtà concrete.
In Italia, purtroppo, il passaggio da un’idea al relativo prototipo, fino ad arrivare a un prodotto è uno scoglio ancora molto grande per gli spin off accademici, anche se forse, anche nel nostro paese, le cose stanno lentamente cambiando.
E’ stata infatti presentata a inizio maggio a Roma un’indagine portata avanti dalla Netval, insieme alla scuola superiore Sant’Anna di Pisa, che ha presentato una situazione rincuorante e ha illustrato un sistema in fase di consolidamento.
L’ultimo rapporto completo risale alla primavera del 2010, da esso emergevano i seguenti numeri: 802 spin-off universitari per un totale di 600 milioni di euro di fatturato. Nell’ultimo anno si sono aggiunte 71 nuove pmi, ma il dato più rassicurante è la continua crescita qualitativa dei progetti, al punto che ormai molti di essi sono pronti ad affrontare il mercato.
Anche se in ritardo rispetto al mondo anglosassone, anche in Italia quindi la ricerca Universitaria si sta affermando come campo di reale investimento per confrontarsi con il mercato.
Ma cosa spinge un docente o un ricercatore a investire risorse per avviare un’impresa? Dall’indagine Netval emerge che un caso su tre è spinto dal semplice desiderio di “fornire servizi basati sulle competenze di ricerca maturate”, mentre il 23% circa dei casi è spinto dalla necessità di poter proseguire delle ricerche che, a causa di mancanza di fondi, non potrebbero proseguire in ambito strettamente universitario. Da questo elemento nasce una realtà prettamente italiana, che nasconde lati positivi e al contempo negativi: se anche in Italia di fatto inizia ad affermarsi la figura cosiddetta dell’”imprenditore seriale”, d’altra parte spesso si fatica a staccarsi dall’Università originaria di cui spesso si utilizzano spazi e risorse e che spesso possiede una parte del capitale sociale.
Per concludere questa panoramica sugli spin off italiani, ecco un po’ di numeri: la regione italiana che vanta il maggior numero di spin off è l’Emilia Romagna, con un totale di 119; il Politecnico di Torino, invece, è l’ateneo più prolifico (60 imprese dal 2000 al 2009); il settore dell’Ict ha primeggiato negli ultimi 3 anni, ma pare ormai in discesa e presto il primato sarà conteso tra energia-ambiente (141) e life sciences (131).
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