Secondo un articolo comparso sul sito di UniversityWorldNews.com, le Università europee non reclutano in maniera corretta il proprio personale. Le donne sono sottorappresentate ai livelli più alti del mondo accademico e ci sono buone ragioni per pensare che questo danneggi le università.
Nei 27 paesi che compongono l’Unione europea, il 59% dei laureati sono donne, ma solo il 18% dei professori ordinari è composto da donne. E solo il 9% delle università presenta una donna al vertice della propria organizzazione.
Perché dovremmo preoccuparci? Perché questo dovrebbe essere un problema? Perché le donne devono lavorare e faticare di più per ottenere livelli professionali ai vertici del mondo accademico?
Ci sono due modi per rispondere a queste domande.
Il primo fa appello al senso di equità e giustizia sociale: perché le donne dovrebbero lavorare di più? È ingiusto. L’altra è quella che ci consiglia di rivolgerci a gruppi di lavoratori e organizzazioni sindacali, perché è la cosa più intelligente da fare. Darsi da fare per ottenere un equilibrio tra i sessi è la cosa giusta da fare perché le donne incontrano nel loro cammino degli ostacoli sconosciuti al genere maschile. Tali impedimenti hanno l’effetto di rallentare o arrestare la carriera professionale delle donne e creano delle università peggiori, perché riducono la quantità di popolazione che può avere accesso a certi livelli.
Ecco un esempio celebre per capire di cosa stiamo parlando: dando un occhio ai risultati della valutazione dei test per aggiudicare della posizioni post-dottorato in Svezia (pubblicati su Nature), vediamo che una donna ha bisogno di 2 volte e mezzo le pubblicazioni di un uomo per essere giudicata ugualmente qualificata. Un altro esempio di un impedimento si trova nell’ atteggiamento con cui si guarda alla maternità/paternità per assegnare dei posti negli atenei europei: la maternità è un impedimento, la paternità è premiante.
Un altro dato interessante, rilevante e provato è che i team funzionano meglio quando sono costituiti con criteri misti, da uomini e donne: la ricerca sul lavoro di squadra ha infatti dimostrato che l’intelligenza del gruppo non procede di pari passo con l’intelligenza dei singoli membri che la compongono. Un ruolo importante è giocato in questi casi dal giusto equilibrio tra i sessi nel gruppo.
L’Università e le imprese sono mondi diversi con culture e storie diverse, ma la ricerca sull’equilibrio tra i sessi nella società richiede un’attenta riflessione anche da parte del mondo accademico. Può essere un modo per aumentare la qualità del lavoro che le Università svolgono. Lavorare per aumentare il numero di donne ai vertici è una mossa ugualmente giusta e intelligente.
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