Le stesse ottanta domande per tutti i partecipanti ai test di ammissione alle facoltà a numero chiuso, gli stessi parametri di valutazione (risposta giusta 1 punto, sbagliata -0,25, non data 0) e lo stesso tempo per risolvere i quesiti, correzione automatica e anonima dei test… ma ecco la grave falla nel sistema: in mancanza di una graduatoria nazionale degli ammessi, non si tiene conto dell’affollamento e del punteggio sufficiente per passare le prove. Degli aspiranti 57.163 iscritti ai test ce l’hanno fatta in 8.179, pari al 14,3%: circa 1 su 7. Questo il risultato nazionale, ma le realtà locali sono molto diverse e in alcuni casi si discostano in modo significativo da questa media.


In primo luogo i posti a disposizione erano stati decisi a priori dai vari atenei, senza tenere conto di quanti candidati si sarebbero presentati. Se a Foggia la possibilità di essere ammessi si aggirava intorno all’8%, a Genova oltrepassava il 18%. Inoltre diversi sono i punteggi minimi per poter passare: la cosiddetta “quota salvezza” varia da un’università all’altra: a Campobasso, Sassari e Campobasso bastavano meno delle metà delle risposte corrette, a Milano, Pavia e Udine si avvicinavano ai 50 punti (50 domande esatte su 80). Un test d’ingresso così costituito non può essere equo: mancano una graduatoria unica nazionale e un punteggio minimo d’accesso uguale per tutti.